martedì 21 febbraio 2012

Can(n)one RAI

Regio decreto legge del 21 febbraio 1938, n. 246: “Chiunque detenga uno o più apparecchi atti o
adattabili alla ricezione delle radioaudizioni è obbligato al pagamento del canone di abbonamento”.
Nessuno immaginava che l’attuale futuro riservasse tali sorprese ai legislatori dell’epoca. Stando alla ratio della norma, qualsiasi strumento atto alla ricezione dei canali radio e TV, sarebbe d’ufficio tenuto al pagamento del canone. Eccependo che persino il canone del 1938 non avrebbe fondati motivi per esistere, considerata l’emittente nazionale un servizio pubblico a disposizione del cittadino-contribuente, il quale versa in virtu’ dell’imposizione fiscale, i tributi, le tasse e le imposte dovute, gia’ inclusive del servizio in argomento. I tempi mutano ed il progresso crea nuove forme di telecomunicazione, che rendono obsolete le tradizionali frequenze radio TV, e la RAI aggiorna i suoi potenti mezzi, (ma ne possiede di altri davvero potentissimi, e non del tutto legali) per raggiungere in tutta tranquillita’ la piu’ vasta audience possibile, sempre in virtu’ di quel mandato originario che la qualifica quale servizio pubblico a disposizione del cittadino. Quindi, persino il possesso di un telefonino, considerato bene di prima necessita’, come anche la televisione, darebbe adito alla riscossione del canone, e se nel futuro imminente avremo modo di connetterci in via telepatica con l’emittente pubblica, sempre in funzione del progresso e della (libera) informazione, saremmo costretti a versare balzelli persino per il possesso di un cervello. Paradossi futuristi.
Bologna 21 febbraio 2012 h. 12.21 pm.












Nessun commento:

Posta un commento